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Generale Haftar, state per conquistare Bengasi?
«Lo spero. L’importante è che il parlamento libico lasci Tobruk e torni a lavorare nella città liberata dalle milizie islamiche. Il mio compito è di portarcelo. Mi sono dato una deadline: il 15 dicembre...».
Di colpo, salta la luce e gli uomini della sicurezza gli sono subito addosso. Nel buio, il generale dice «è la guerra a Bengasi, afwan»: scusate... L’unico sorriso che ci concede è di sollievo, quando la stanza si riaccende. Vecchio uomo nuovo della rivoluzione libica, una faccia socchiusa alle emozioni, a 71 anni Khalifa Haftar sa maneggiare la paura. Il più osservato dai lealisti di Tobruk e dalle milizie di Zintan, che sospettano della sua ambizione. Il più odiato dai fratelli musulmani di Tripoli, che hanno messo una taglia su di lui temendone i grandi protettori al Cairo e nel Golfo. Vive nascosto tra questa casamatta color senape dell’eliporto di Al Marj, l’antica Barca alle porte di Bengasi, e decine di rifugi che cambia ogni notte. Sospettoso di tutti, irraggiungibile da molti. Ci vogliono due settimane d’appuntamenti mancati, i fedelissimi della brigata 115-S che ti svitano
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